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Il documentario di Woojin, ex-Stray Kids, sull’odio dopo le accuse di violenze sessuali non è sbagliato, ma…

Woojin, ex-membro degli Stray Kids, per presentare il suo debutto da solista, ha pubblicato un documentario ‘Finger Killer’ in cui ha dato la sua risposta alle accuse di violenza sessuale, di aver mentito sulla sua agenzia e tutto l’odio che ha ricevuto lo scorso anno.

La situazione è complicata e dobbiamo analizzare due punti fondamentali: le intenzioni e il risultato.

Le intenzioni non sono sbagliate: lo scopo è mostrare come le vite possono essere rovinate dai leoni di tastiera solo per “divertimento”, troll capaci di inventarsi cose da zero pur di ferire uno sconosciuto di cui hanno visto 4 foto su google. (ad ora la situazione si è chiusa così) Le accuse di violenza sessuali sono gravissime ed è comprensibile che Woojin voglia liberarsi di questa etichetta prima del debutto, dato che colei che l’ha accusato ha ammesso di averlo fatto solo per “divertimento” e che nulla era davvero accaduto (Ripetiamo: ad ora la situazione si è chiusa così).

Teoricamente il volersi liberare dalle accuse di Woojin, il suo rigettare l’odio al mittente e liberare la sua figura da una situazione così terribile che lo ha perseguitato per un anno, non è sbagliato. Molti non l’avrebbero fatto ma, in fondo, questo è una decisione personale comprensibile se si pensa a come il ragazzo è stato attaccato e preso in giro dopo le accuse di violenza sessuale.

Fare un documentario dove mostri che esiste gente capace di inventarsi qualsiasi cosa su Internet solo per rovinare la vita di qualcuno per divertimento, senza pensare alle conseguenze, non è sbagliato e non vuol dire che la violenza sessuale non esiste o che la vittima è sempre colpevole, ma solo rendersi conto che purtroppo esistono anche i persone che mentono e che fanno questo per motivi sciocchi.

Il risultato, però, è pessimo.

Il documentario, nelle intenzioni, non è sbagliato, ma il modo in cui è stato realizzato è davvero pessimo, rendendo difficile la sua visione, anche se si tratta di poco più di 30 minuti.

Il documentario in realtà è un mockumentary, con video pieno di gif, meme, immagini casuali, imprecazioni, insulti, trolling, alternati a prove e animazioni di dubbio gusto e una voce di sottofondo che spiega la situazione. Un’impostazione un po’ infantile, inquietante e superficiale che dura tutto il documentario.

Il documentario, che poteva essere una seria finestra su quanto dannosa può essere un’accusa falsa a un idol, è diventato uno scherzo sgradevole e di pessimo gusto che sembra una presa in giro costante. A qualcuno potrebbe piace questa impostazione poco seria e quasi ridicola, ma voler attaccare qualcuno per averti preso in giro e offeso pubblicamente con un video che usa lo stesso linguaggio infantile e superficiale, sembra incoerente.

Ognuno ha il diritto di fare video parlando della propria esperienza o anche usare quella situazione per scrivere canzoni o altro, ma il modo in cui il team di Woojin lo ha fatto non gioca a suo favore. Chi lo supporta continuerà a farlo, chi era in dubbio chiuderà il video dopo 5 minuti, chi lo odiava ha altro materiale su cui lavorare, definendolo superficiale ed egocentrico. Sensazioni legittime se si pensa che il video inizia con un uomo in pelliccia che fa complimenti a non finire a Woojin e spiega come vorrebbe attaccare fisicamente le persone che hanno creduto alle accuse mosse contro di lui.

Il documentario, inoltre, non presenta altre prove o risponde a domande ancora rimaste senza soluzione, si limita a insultare chi c’ha creduto e chi ha diffuso le voci. Poteva essere un’ottima occasione per raccontare la loro versione della storia e invece sono 35 minuti di meme ed effetti sonori stravaganti e la totale mancanza di profondità, cura o pensiero su un argomento delicato come la violenza sessuale.

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PR

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