Generale

Dietro la facciata: l’industria Kpop e il razzismo

Dal blog di una fan:

“E’ cominciato non molto tempo fa, ma ho veramente iniziato a provare del risentimento verso l’industria dell’intrattenimento coreana.

C’erano degli aspetti di questo mondo che ignoravo, finché non sono capitata per caso su un video di Gikwang, un membro dei B2ST, che si cimentava in una scenetta comica esibendo una “black face” (letteralmente “faccia nera”, in questo caso intesa come dipinta di nero a simulare una diversa etnia).

A prima vista non capivo cosa stavo guardando, ma col passare del tempo diventava tutto chiaro. A quanto pare stava mostrando come una persona di colore mangia un’anguria”.

Episodi del genere, per fortuna, non capitano spesso nel mondo occidentale da ormai diversi anni. Sconvolgerebbero e farebbero arrabbiare, com’è giusto che sia, la maggioranza della popolazione. Inoltre, non supererebbero mai la censura dei produttori televisivi.

Ma com’è possibile che ci siano ancora parti del mondo “civilizzato” dove tutto questo è non solo largamente accettato, ma addirittura trasmesso in televisione? E se questo fenomeno effettivamente esiste, quanto è ampia la sua portata?

La Corea del Sud è uno dei paesi più omogenei al mondo, con più del 99% di popolazione autoctona. Insomma, praticamente non esistono stranieri che emigrano per andare a vivere lì, o comunque la percentuale è così bassa da diventare irrilevante. Ovviamente, quindi, anche l’industria dell’intrattenimento è formata per la stragrande maggioranza da artisti coreani e manager coreani e costumisti, truccatori, produttori… tutti di una sola etnia.

Non c’è contaminazione. E’ difficile, per chi nasce e cresce lì, venire a contatto con altre culture, conoscerle e comprenderle. Ecco come, probabilmente, nascono alcuni casi come quelli che andiamo a vedere.

Qualche anno fa, Onew e Minho degli SHINee si sono esibiti sulle note del famoso brano “Macarena”, durante la SMTown Week. E sarebbe andato tutto liscio, se i due ragazzi non fossero saliti sul palco con due costumi che possono tranquillamente essere definiti razzisti: due stereotipi del “tipico messicano”, con tanto di barbe e baffi esagerati e finti, creati con del nastro adesivo nero. I costumi chiaramente ispirati alla figura del bandito messicano, quello sporco, con pochi denti e capelli oleosi che compariva spesso nei film western di una volta. Non certo una figura da resuscitare!

Ah, ricordiamoci che la “Macarena” è una canzone del duo spagnolo (e non messicano) “Los del Rio”. In tutta la canzone non è riscontrabile nemmeno un riferimento al Messico che possa giustificare, almeno in minima parte, la mascherata.

I membri dello stra-popolare gruppo EXO sono stati più volte criticati per i commenti razzisti nei confronti di Kai, il componente dalla pelle più scura. E purtroppo la stessa SM, la casa di produzione, non ha certo dato il buon esempio. Essendo lo “scuro” del gruppo, l’etichetta gli ha più volte affibbiato outfit stile “hip hop”, prendendo chiaramente ispirazione dalla black culture. Un esempio sono le tipiche treccine che sono ricomparse anche recentemente, in occasione dell’ultimo comeback del gruppo.

Da notare il colpo di classe: la scritta “Foreigner”, ovvero “Straniero” che accompagna un vecchio servizio fotografico.

Pur trattandosi, tecnicamente, di appropriazione culturale, la cosa viene candidamente ignorata. Da Taeyang e G-Dragon dei BIGBANG, a Zico dei Block B, per continuare con il giovanissimo WinWin degli NCT 127, la lista è infinita.

Ad essere onesti poi, proprio uno dei video più famosi di Taeyang, Ringa Linga, è un perfetto mix di appropriazione culturale e stereotipi buttati qua e la a casaccio. Il concept vorrebbe richiamare le gang afroamericane dei ghetti, ma finisce per risultare solo un lavoro non ben pensato.

Anche la sua collega della YG, CL, ha da dire la sua in materia. Basta dare un’occhiata veloce al suo video per “The Baddest Female”, che voleva forse nascere come un omaggio alla cultura afroamericana, ma che finisce col dare l’effetto opposto, rappresentandola come uno stereotipo vivente.

Le ARMYS (fan dei BTS) ricorderanno invece la gaffe del leader Rap Monster, il quale, invitato insieme al suo gruppo in un famoso programma radiofonico, ha affermato che il suo talento speciale consiste nel “parlare come un nero”. E ha pure dato una dimostrazione del “tipico slang dell’uomo medio di colore”! Sia la performance, che le successive scuse, giudicate da molti troppo blande, hanno sollevato un polverone.

Ed ecco un’altra rappresentazione palesemente razzista e stereotipata. Questa volta offerta dal video di “Badman” dei B.A.P . Si va dal contrapporre un gruppo di rivoltosi a maggioranza nera contro un gruppo di poliziotti bianchi, per poi passare a mostrare persone bianche baciarsi innocentemente, mostrando successivamente doti atletiche, e un uomo di colore che spara ad un altro per poi rubare alla persona a cui aveva appena sparato. Insomma… un video che non lascia dubbi!

Altri tre episodi di “black face” vengono da Yesung dei Super Junior, con il suo costume da “Nick Fury”,

 G-Dragon, con la foto pubblicata da lui stesso su Instagram, probabilmente una forma di omaggio a Trayvon Martin,

e infine dalle Mamamoo, che durante un’esibizione sono uscite conciate da Bruno Mars & Co. con la faccia dipinta di nero.

Tutte scelte ampiamente criticate, non solo dai fan internazionali, ma anche da chi vive nella società coreana, come Sam Okyere, nota figura televisiva che ha deciso di confidare tutto il suo sconforto ai followers di Instagram: “La black face nel 2017. Voglio solo dire che questo non è accettabile! Noi non esistiamo per dare uno spunto comico. Tutto ciò deve finire adesso! Sono veramente deluso. Basta con la black face! O con qualsiasi forma di discriminazione verso gruppi e razze”. 

Attenzione però a non cadere in un facile errore: dare tutta la colpa agli idol. Che effettivamente, a rifletterci un attimo, forse non hanno tutta questa possibilità di scelta. Nella stragrande maggioranza dei casi non sono gli idol a produrre le proprie canzoni, a scegliere gli outfit di scena e le coreografie. Loro sono semplicemente il prodotto finale, un prodotto creato interamente dall’agenzia. E’ vero, potrebbero rifiutare di esibirsi, ma cosa ne sarebbe a quel punto della loro carriera? Chi li assumerebbe il giorno dopo?

E chi di un’altra etnia lo è veramente, che speranze ha di sfondare all’interno del mondo Kpop?

In sintesi… quasi zero.

Prendendo come esempio l’esperienza di una delle rarissime persone che c’è l’ha fatta, si capisce che, forse, il gioco non vale la candela.

Alexandra “Alex” Reid nel 2015 si è unita al gruppo BP Rania (prima semplicemente Rania), diventando così il primo membro afro-americano di un gruppo femminile Kpop. Ma come è facile immaginare, la ragazza ha dovuto affrontare fin da subito diversi ostacoli, come se le “normali” difficoltà di chi decide di intraprendere questa carriera non fossero già abbastanza.

La sua diversità è stata fin da subito additata come un difetto da diversi amanti del genere, scontenti del cambiamento.

Fortunatamente subire in silenzio non è nella natura di Alex, che tramite l’aiuto dei social media è riuscita a far sentire la sua voce. Con una serie di tweet, la cantante ha supportato la marcia delle donne e si è opposta all’ “Immigration ban” del presidente americano Trump.

Ovviamente anche questa è una forte novità per l’industria musicale coreana, solitamente silenziosa di fronte alle questioni politiche controverse, soprattutto se di portata internazionale.

I detrattori di Alex non si sono dati pace nel fare a gara per trovare sempre nuove accuse da muovere contro di lei: dallo schiarirsi la pelle per sembrare più chiara all’appropriazione della cultura coreana, la ragazza non ha avuto un attimo di pace.

Dopo un servizio fotografico dove tutte le Rania indossavano gli abiti tradizionali coreani, solo Alex ha dovuto subire una pioggia di critiche per aver osato indossare quei vestiti… peccato che un altro membro del gruppo fosse cinese!

“Se non parlo molto in coreano dicono che non conosco la lingua e che non dovrei essere qui”: ha confessato la stessa cantante. “Quando parlo in coreano dicono che si sente troppo il mio accento e si capisce che sono americana, quindi non dovrei comunque essere qui” continua Alex “se riesco a parlare bene in coreano dicono che ho semplicemente memorizzato a memoria quella frase e che non posso fare di meglio”. Che cosa dovrebbe fare allora?

Per non parlare del fatto che è stata criticata perché di recente, durante le riprese di un video, ha osato stirarsi i capelli e non ha sfoggiato la sua naturale chioma riccia… peccato che lei stessa ha affermato più volte che in Corea non riesce a trovare parrucchieri che sanno come acconciare i suoi capelli! E’ costretta anche a gestire da sola il proprio makeup, stessa causa.

Fortunatamente accanto a tanti detrattori Alex e il gruppo possono contare sull’affetto di diversi fan, ma rimane comunque ingiusto il carico che le viene messo ogni giorno sulle spalle.

E Alex purtroppo non è la sola.

Somi, ex membro delle I.O.I di origini canadesi, ha parlato apertamente della questione razzismo in una recente intervista: “Le persone mi prendevano in giro perché sono un incrocio di razze. Ero vittima di bullismo, ero un’esclusa. Ma mi sono fatta forza e ho affrontato la situazione”.

Anche Vernon dei Seventeen ha menzionato chiaramente, in un video risalente all’epoca pre-debutto, come il suo aspetto lo facesse costantemente sentire un “outsider” quando era in pubblico.

La cantante Shannon ha parlato di una sua esperienza, nello specifico l’esibizione dell’inno nazionale coreano durante una partita di baseball. Di madre coreana e padre britannico, in quell’occasione ha subito diversi commenti negativi, non per la qualità della performance, semplicemente per le sue origini non “pure”.

E sentite l’incredibile storia di Fei delle Miss A. Sempre durante un’intervista, la cantante ha parlato di come all’inizio della sua carriera le persone pensavano che mancasse di igiene personale e facesse la doccia solamente una volta a settimana, date le sue origini cinesi. Come se le due cose potessero in qualche modo avere una logica correlazione.

Altrettanto scioccante è l’intervista della cantante Michelle Lee, madre coreana e padre afro-americano. Durante un episodio del programma “Hello Counselor”, la ragazza ha parlato di quando era piccola: “Quando ero giovane, nessuno si sedeva accanto a me nell’autobus. I genitori dei miei amici dicevano loro di non toccarmi perché ero sporca”.

A questo punto torniamo a una delle domande iniziali: com’è possibile che nel 2017 esista un’intera nazione (o quasi) ferma nelle sue posizioni razziste?

Diamo un’occhiata alla storia di questa nazione. Al contrario di quanto è accaduto in altri paesi, la Corea è stata oggetto di conquiste esterne. Il Giappone ha regnato a lungo sul paese e i coreani hanno vissuto come veri e propri coloni giapponesi per più di trent’anni. La paura e le difficoltà, secondo gli storici, hanno creato e diffuso il sentimento xenofobo in tutta la popolazione. Ancora oggi, il sentimento è forte negli abitanti della Corea, e la xenofobia è usata come un vero e proprio mezzo ideologico per “difendersi” dagli stranieri, da qualsiasi parte del mondo essi vengano. Ecco perché più di un coreano su tre ammette immediatamente di non volere uno straniero come vicino di casa. E probabilmente gli altri due non lo ammettono, ma sono più che d’accordo.

Rimane tuttavia da analizzare l’altra faccia della medaglia, quella che potrebbe e dovrebbe dare una sveglia a tutta la popolazione coreana.

Gli stessi artisti coreani sono infatti spesso oggetto di razzismo. Analizziamo due casi piuttosto recenti, con protagonisti BTS e K.A.R.D .

A quanto pare non tutti hanno apprezzato la vittoria dei BTS ai Billboard Music Awards di quest’anno. Ancora una volta i gusti musicali non c’entrano nulla come dimostra questa serie di tweet che riportano commenti razzisti sulla vittoria del gruppo.

Per non parlare dei commenti riportati il giorno dopo da alcuni giornali online: “Non so nemmeno chi sono questi asiatici. E non voglio saperlo. Sono sconcertata. Non capisco quello che dicono. Ormai gli ‘Award shows’ sono spazzatura”.

E che dire del finto commento “non razzista”: “Non per essere razzista, ma non vedi nessun cantante e nessuna band americana partecipare agli show coreani, quindi per favore BTS, tornatevene in Corea. E menomale che non voleva essere razzista!

Anche i K.A.R.D hanno subito un trattamento simile, per giunta in diretta televisiva!

Recentemente ospiti di uno show brasiliano, i ragazzi hanno avuto una brutta esperienza. Il conduttore ha esordito con una delicatissima serie di domande palesemente stereotipate a dei ragazzini presenti in studio. Quasi tutti erano di etnie miste, e il presentatore passava dall’uno all’altro chiedendo “di che razza fossero”. I bambini rispondevano “Giapponese”, ma l’ultimo era in dubbio, così è rimasto in silenzio. Ed ecco la perla del conduttore: “Ha bisogno di aprire gli occhi, giusto?” E giù a ridere…

Quando è venuto il momento dei K.A.R.D, il pubblico in studio si è dimostrato entusiasta della loro presenza e il presentatore ha pensato bene fosse arrivato di nuovo il momento di una battuta razzista: “Ah, li volete sposare? Ma dovreste tirarvi gli occhi, state scherzando?” Il tutto ovviamente accompagnato proprio da una tirata di occhi, a mimare la sua idea di persona asiatica. A dir poco scioccante.

E poi c’è chi va totalmente controtendenza. Loro sono gli EXP EDITION e sono il primo gruppo Kpop… totalmente americano!

Vengono da New York e si sono trasferiti in Corea per cercare di sfondare con la loro musica. Il primo video dell’originale gruppo, “Feel like this”, è stato inondato da una marea di pollici in giù, segno che la maggior parte dei fan non sono pronti per un cambiamento così radicale.

Forse è un esperimento un po’ azzardato, ma bisogna premiare questi ragazzi per il coraggio! Tentare di sfondare musicalmente nella propria nazione è un’impresa, in una nazione non propria è certamente quasi impossibile. Farcela in Corea, con una lineup totalmente straniera, sarebbe un vero e proprio miracolo!

Dopo questa nota più leggera, chiudiamo con una piccola riflessione. Ecco una carrellata di scuse che molti di noi a volte si sono ritrovati a dire pur di difendere il beniamino di turno:

1) “Non intendeva essere offensivo, è stato male interpretato”. Siamo onesti, se una casa di produzione riesce a documentarsi abbastanza da copiare stile, slang e movimenti tipici da altre culture, può documentarsi su cosa sia offensivo e cosa non lo sia.

2) “State esagerando, era una cosa da nulla”. Ma vi immaginate dire ad un afro-americano che non deve sentirsi offeso da chi sbeffeggia la sua cultura? Nessuno può ergersi a giudice di ciò non riesce nemmeno capire.

3) “Il Kpop è questo, se non vi piace non seguitelo”. Dubitiamo fortemente che sia questo che gli idol vogliono, ovvero perdere una larga porzione della loro fanbase per un comportamento che magari gli è stato pure imposto dall’etichetta.

Bisogna sempre fare un passo indietro e tracciare una linea tra quello che è giusto e quello che è sbagliato. Gli idol non sono perfetti, né tantomeno lo è la società da cui vengono. Difendere ciecamente tutto quello che fanno e dicono non va a vantaggio di nessuno, nemmeno degli idol stessi.

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Giuliana

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